Recensione The Endless River – Pink Floyd

Recensione The Endless River – Pink Floyd

11 Novembre 2014 Off Di David Medina

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The-Endless-RiverRecensire un disco dei Pink Floyd è difficilissimo.
Specie se lo si aspetta e desidera da anni, li si ha nelle orecchie fin da bambini, li si ama alla follia e li si considera uno dei capisaldi della musica, quella con tutte le lettere maiuscole, del Novecento.

Non c’ è più Waters, da anni, e si sente, e non c’è più Wright, e questo si sente ancora di più.
Il problema è che è veramente rimasto ben poco dei bei tempi andati e dei capolavori del passato.

Si, il sound c’ è, è inconfondibile, basta una nota di chitarra, ma si continuano a sentire solo echi più o meno forti ( a volte fin troppo forti ) di questo passato, non si percepisce mai la sostanza vera e propria che ci si aspetterebbe da tali campioni.
Manca completamente lo slancio creativo che ci si aspetterebbe da un album con scritto in calce
PINK FLOYD.

Per non parlare della copertina, più adatta per una raccolta di canti dei gondolieri veneziani che per l’ ultima fatica di un’ icona del rock. E ripeto di tutta la musica. Di sempre.

La tracklist di  The Endless River:

  1. Things Left Unsaid
  2. It’s What We Do
  3. Ebb and Flow
  4. Sum
  5. Skins
  6. Unsung
  7. Anisina
  8. The Lost Art of Conversation
  9. On Noodle Street
  10. Night Light
  11. Allons-y (1)
  12. Autumn’68
  13. Allons-y (2)
  14. Talkin’ Hawkin’
  15. Calling
  16. Eyes to Pearls
  17. Surfacing
  18. Louder Than Words

18 traccie, 1 cantata, con qualche sprazzo qua e là di ispirazione.
Soprassediamo sulle 3 bonus track che è meglio.
Nella maggior parte dei momenti una grande sensazione di deja vù, un tributo alla memoria. Sempre con la classe e l’ arte dei pochi, grandi, Dei dell’ Olimpo.

Ma che non basta.

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Forse per le mie aspettative troppo elevate, forse per l’ impossibilità oggettiva di superarsi o forse solo perchè ormai chiedere un altro capolavoro a Gilmour e Mason da soli è veramente troppo.

Perchè i Pink sono l’ emblema di come l’ unione delle creatività dei singoli generi i capolavori, più che le singolarità stesse, la mancanza di temi, la generale assenza di forma dei pezzi lascia smarriti.
Questo non è un epitaffio, è molto più simile ad memoriale reso da due compagni di vecchia data a
quello che è stato e che oggi, giustamente, non c’ è più e non può più esserci, semplicemente perchè
non ci sono più Roger, Richard… e Syd.

Titolo ripreso dall’ ultimo loro grande pezzo, High Hopes, da un album (The Division Bell) già
difficile da digerire per i fan più legati alla storia della band, cosa che mi dà ancora di più la sensazione di ascoltare una raccolta di scarti di lavorazione.
Ma preferisco pensare a due amici, giganti della musica, che si ritrovano insieme per celebrare chi, e quello, che non c’ è più.
Perciò grazie anche per Endless River, il disco che non avremmo voluto sentire dei Pink Floyd.